giovedì 11 marzo 2010

Sono presa dalla lettura




L'eleganza del riccio


Parigi, rue de Grenelle numero 7. Un elegante palazzo abitato da famiglie dell'alta borghesia. Ci vivono ministri, burocrati, maitres à penser della cultura culinaria. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all'idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Niente di strano, dunque. Tranne il fatto che, all'insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta che adora l'arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Cita Marx, Proust, Kant... dal punto di vista intellettuale è in grado di farsi beffe dei suoi ricchi e boriosi padroni. Ma tutti nel palazzo ignorano le sue raffinate conoscenze, che lei si cura di tenere rigorosamente nascoste, dissimulandole con umorismo sornione. Poi c'è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita (il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno). Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre, segretamente osservando con sguardo critico e severo l'ambiente che la circonda.”Ma se nel mio universo esiste la possibilità di diventare quello che ancora non siamo…saprò coglierla e trasformare la mia vita in un giardino diverso da quello dei miei padri?”
Due personaggi in incognito, quindi, diversi eppure accomunati dallo sguardo ironicamente disincantato, che ignari l'uno dell'impostura dell'altro, si incontreranno solo grazie all'arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée:”Madame Michel(Renèe) ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti.
E farà dire a Paloma:
quello che c'è di bello in Kakuro (Ozu) è che fa tutto con gentilezza. È molto piacevole ascoltarlo parlare,perché ti parla davvero, si rivolge a te. È la prima volta che incontro qualcuno che si preoccupa di me quando mi parla: non aspetta l'approvazione o il disappunto, mi guarda con l'aria di dire: «Chi sei? Vuoi parlare con me? Mi fa proprio piacere stare con te!». Ecco cosa volevo dire con la parola gentilezza, questo modo di fare che da all'altro la sensazione di esserci… Kakuro parlava della campagna russa con tutte quelle betulle flessuose e il loro brusio, e io mi sono sentita leggera, leggera...
Poi, pensandoci un po' su, in parte ho capito questa improvvisa gioia quando Kakuro parlava delle betulle russe. Mi fa lo stesso effetto ogni volta che si parla degli alberi, di qualsiasi albero: il tiglio nel cortile della fattoria, la quercia dietro il vecchio fienile, i grandi olmi purtroppo scomparsi, i pini piegati dalle raf¬fiche lungo i litorali ventosi ecc. C'è talmente tanta umanità in questa capacità di amare gli alberi, talmente tanta nostalgia dei nostri primi stupori, talmente tanta forza nel sentirsi così insigni¬ficanti in mezzo alla natura... sì, è proprio questo: l'evocazione degli alberi, della loro maestosità indifferente e dell'amore che proviamo per loro da un lato ci insegna quanto siamo insignifi¬canti, cattivi parassiti brulicanti sulla superficie terrestre, dall'altro invece quanto siamo degni di vivere, perché siamo capaci di rico¬noscere una bellezza che non ci è debitrice.
Kakuro parlava delle betulle e io, dimenticando gli psicanalisti e tutte quelle persone intelligenti che non sanno cosa farsene della loro intelligenza, mi sentivo improvvisamente più grande perché ero capace di coglierne la meravigliosa bellezza.

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